La gioia
Sta qui la sorgente profonda della gioia di Paolo: il Cristo.
Attraverso le sue Lettere, ma con maggior insistenza ai Filippesi, Paolo ci dice che la sua gioia viene prima di tutto dall’essere stato, sulla strada, investito dal Cristo, illuminato da Lui, dall’averlo accolto, dall’aver accettato di essere il testimone della sua gloria, il messaggero e il ministro del suo Vangelo, dall’essere stato, in una parola, invaso e travolto dall’amicizia di Gesù.
Il Cristo invade tutto. Paolo non si realizza che donandosi a fondo a lui. Il Cristo è per il cuore dell’Apostolo, il «divino impaziente» che lo spinge verso un possesso sempre più totale perché, in realtà, la vita cristiana più che «tendenza verso» è crescita dal di dentro, approfondimento di una gioia essenziale.
Cristo è la sua gioia. Gioia non ardente, ma profonda, che sgorga nelle ultime pieghe dell’essere, che zampilla nascosta per fecondare tutti gli altri sentimenti. Gioia della pace conquistata, della sofferenza che si trasfigura. Gioia che dà il suo riflesso a tutte le realtà umane, perché tutto ciò che è umano è sorriso di Cristo.
Gioia della pienezza, perché non domina più la sofferenza: essa si trasfigura grazie a una Presenza. Gioia che sgorga dalla sofferenza e dalla morte stessa, da quella morte per testimonianza che si chiama martirio, sacrificio supremo dell’amore.
La sua gioia è Cristo, amato sia nella sua risurrezione, sia in tutti gli uomini che incontra sulle strade del mondo.
La gioia dell’Apostolo non è il piacere dell’esteta, o semplicemente quello dello star bene. Sgorga dalla croce di Cristo. La vera gioia sta al di là del sacrificio; la gioia totale è al di là del sacrificio totale.
Da Tutto Paolo di don Carlo De Ambrogio